Non una classificazione repertoriale di animali, né di significati simbolici a essi associati, il presente contributo si propone di tracciare un sintetico percorso della funzione svolta dall'animale nell'opera degli scultori attivi a Firenze nel XVI secolo. In tale contesto viene messo a fuoco il ruolo svolto da Niccolò Tribolo come straordinario trait-d'union fra la tradizione naturalistica di Verrocchio e Leonardo, e la codificazione del genere animalistico compiuta da Giambologna e Romolo Ferrucci del Tadda. Si offre così l'occasione di evidenziare, per la prima volta in modo esplicito e dettagliato, i rapporti preferenziali che Tribolo intrattenne con il pensiero di Leonardo per il tramite dei suoi eredi fiorentini riuniti intorno alla Scuola della Sapienza, con l'erudito naturalismo romano della cerchia raffaellesca, e infine con la cultura figurativa e letteraria veneta, in particolare con Pietro Aretino. Proprio questi legami, calati nel vivo di una decisa fiorentinità cresciuta all'ombra di altre amicizie illustri, fecero dello scultore l'alfiere di un moderna interpretazione della natura che trovò una sua piena e articolata espressione nell'ideazione e nell'arredo del giardino, dove l'animale, sempre più svincolato dai confini della decorazione, venne ad assumere un ruolo da protagonista. In questa sede privilegiata, così come in quella più rara dello studiolo, le precoci intuizioni di Tribolo, sviluppate dal sostanziale apporto della sua bottega, legata ai nomi di Pierino da Vinci, Antonio Lorenzi, Valerio Cioli, avrebbero ispirato sullo scadere del Cinquecento la definitiva affermazione della scultura di animali come genere autonomo.